Angela Napoletano lunedì 20 febbraio 2023
Da una località segreta della Spagna, una tra le più note e “scomode” attiviste afghane denuncia: «La democrazia e la libertà nella mia terra sono state la più grande menzogna del secolo»
Malalai Joya nel centro per rifugiati in cui Avvenire l’ha incontrata, in Spagna, mostra foto di donne uccise negli ultimi anni – A.N.
Con questa e numerose altre testimonianze, storie, interviste e lettere, le giornaliste di Avvenire fino all’8 marzo daranno voce alle bambine, ragazze e donne afghane. I taleban hanno vietano loro di studiare dopo i 12 anni, frequentare l’università, lavorare, persino uscire a passeggiare in un parco e praticare sport. Noi vogliamo tornare a puntare i riflettori su di loro, per non lasciarle sole e non dimenticarle. E per trasformare le parole in azione, invitiamo i lettori a contribuire al finanziamento di un progetto di sostegno scolastico portato avanti da partner locali con l’appoggio della Caritas. QUI IL PROGETTO E COME CONTRIBUIRE
Figlia, moglie, madre, amica, sorella. Nel modo in cui l’attivista Malalai Joya, 45 anni, racconta le ferite dell’Afghanistan sono riconoscibili tutti i toni dell’amore di donna. Determinato, oggi, come 25 anni fa quando nelle vesti di giovanissima delegata della città di Farah alla Costituente afghana denunciava con coraggio quasi sfrontato gli sporchi affari dei “Signori della guerra” seduti poco più avanti di lei. La donna che il mondo ha conosciuto nel 2007 quando, due anni dopo l’elezione al Parlamento dell’era “Enduring Freedom”, è stata messa alla porta della Camera del Popolo per aver chiamato “criminali” alcuni colleghi deputati, oggi, non abita più la sua terra. L’abbiamo incontrata in Spagna da rifugiata in una località che per motivi di sicurezza preferisce non venga divulgata. Racconta che non avrebbe mai voluto lasciare l’Afghanistan. Ma quando i taleban sono tornati al potere, ad agosto 2021, ha ceduto, disperata, all’insistenza della madre e di quanti preferivano saperla viva all’estero piuttosto che condannata a morte (quasi) certa in patria. Così è partita.
Malalai, i taleban hanno chiuso alle donne scuole e università, hanno impedito loro di lavorare nelle Ong, ne hanno limitato la libertà di movimento. Qual è la più tremenda di queste azioni?
È orrendo negare alle donne i loro diritti fondamentali. E senza dubbio privarle dell’istruzione che è la chiave per l’emancipazione. I taleban hanno paura della consapevolezza delle donne istruite perché sono quelle che, consce della propria identità, cercano un ruolo nella società. Per loro le donne devono essere usate solo per soddisfare le loro brame, badare alla casa e avere figli. Tenere sotto scacco più della metà della popolazione, quella femminile, è un modo per controllare più facilmente l’altra metà. Ma le donne dell’Afghanistan non sono più quelle di 40 anni fa. Sono più istruite e consapevoli dei propri diritti. Mai rinunceranno alla resistenza, mai si arrenderanno. Lotteranno per farsi spazio in una società di uomini che le trattano come cittadini di seconda classe, neppure esseri umani.
Ma che senso hanno allora le scuole clandestine se non possono portare le donne al diploma?
Al momento non c’è altra scelta che l’istruzione clandestina. Utile anche perché quella che ricevono alle elementari è limitata. I taleban insegnano per lo più questioni islamiche. Per esempio, non impartiscono lezioni di scienze. Sono stata anch’io un’insegnante clandestina nel primo emirato islamico. Di classi elementari e superiori. Ho anche tenuto corsi di alfabetizzazione. Dopo il diploma ho preferito insegnare ai corsi clandestini per le donne piuttosto che andare all’università perché in questo modo potevo incoraggiarle a continuare gli studi. I taleban possono mettere le donne al bando da scuole e università ma non potranno mai impedire loro di pensare con la propria testa. Guardi me. Ho dedicato la mia lotta per la democrazia senza avere una laurea: l’ho presa solo di recente. E adesso affronto la stessa battaglia con ancor più determinazione. L’educazione è fondamentale per aprire occhi e menti, non serve una laurea per capire cosa è giusto e cosa è sbagliato.
I taleban possono mettere le donne al bando
da scuole e università ma non potranno mai
impedire loro di pensare con la propria testa
Cosa prevede adesso? Tornerà il tempo in cui le donne venivano attaccate con l’acido?
I taleban non erano al potere quando sfregiavano le donne con l’acido. Ora sì. Privarle totalmente dei propri diritti è pure più corrosivo di un attacco con l’acido. La natura dei taleban non è cambiata. L’idea che fossero migliorati è stata veicolata dagli Stati Uniti che li avevano persino divisi in due categorie, moderati e non moderati, come a dire che c’è una guerra buona e una guerra cattiva. I taleban di oggi stanno agendo in modo anche più selvaggio. Ci sono attentati persino nelle moschee con loro al potere.
Malalai Joya nel centro per rifugiati in cui Avvenire l’ha incontrata, in Spagna, mostra foto di donne uccise negli ultimi anni – A.N.
Percepisco che è molto arrabbiata con gli Stati Uniti…
Non sono arrabbiata. Dico la verità. Gli Stati Uniti hanno cambiato l’Afghanistan per salvare il “paradiso” del terrorismo sin dalla Guerra Fredda. Hanno distrutto le nostre infrastrutture, creato i taleban, il Daesh e i “Signori della guerra”. La lotta al terrorismo era uno strumento per occupare il nostro Paese, come è successo negli ultimi 20 anni, per i propri interessi strategici, regionali, economici e politici. In nome di una pacifica riconciliazione hanno portato ancora una volta i taleban al potere dimenticando che la pace senza giustizia non ha senso. Il risultato è più spargimento di sangue, più disastri, più violazioni di diritti umani.
Durante il governo degli ultimi vent’anni, però, la condizione femminile era molto migliorata. Perché è stato così facile azzerare quel progresso?
Non era così: la situazione delle donne era catastrofica, proprio come lo è come oggi, soprattutto nelle zone rurali. Alcune donne hanno avuto accesso all’istruzione e al lavoro solo nelle grandi città come Kabul, Herat e Jalalabad dove erano attivi i cosiddetti progetti umanitari che giustificavano l’occupazione straniera. Il 25% dei membri del Parlamento era di sesso femminile ma per la maggior parte si trattava di un ruolo simbolico. Farkhunda Malikzada, per esempio, è stata uccisa selvaggiamente a Kabul nel 2015 a pochi chilometri dal palazzo presidenziale. Immagini com’era la situazione delle donne nelle aree remote. Stupri, violenze, lapidazioni, rapimenti: tutto ai massimi livelli.
«La lotta degli Stati Uniti al terrorismo era
uno strumento per occupare il nostro Paese,
per i propri interessi strategici, economici e politici
Per le donne era quindi una finta emancipazione?
Sì. Persino alcune di quelle messe al potere erano fondamentaliste che non hanno mai rappresentato le oppresse del mio Paese. La libertà e la democrazia in Afghanistan sono state la menzogna del secolo.
Molte afghane credono che il buio in cui sono sprofondate sia solo un incidente della Storia…
Non sono d’accordo. I taleban sono tornati al potere secondo un piano ben preciso maturato non dall’oggi al domani. Prima che accadesse, alcuni dei loro nomi sono stati rimossi dalla lista nera Onu dei criminali ricercati. Migliaia di prigionieri sono stati liberati dalle carceri di Guantanamo, Bagram e Kabul. Il valore delle attrezzature militari statunitensi che si sono state lasciate è di almeno 85 miliardi di dollari. Tutto è andato secondo i piani.
Come si innesca allora il vero cambiamento?
Solo con la lotta, la consapevolezza e l’unità possiamo cambiare l’Afghanistan e fare nostri valori come giustizia, pace e diritti delle donne. Nessuna nazione può donare la libertà a un’altra nazione. La democrazia non è un bel fiore che gli stranieri possono regalarci. È figlia di una lotta instancabile, determinata, senza paura.
Ci sono ancora donne che credono ancora di essere inferiori agli uomini?
Sfortunatamente la nostra è una società patriarcale, tradizionale, maschilista, in cui i fondamentalisti misogini sono sempre stati al potere facendo credere alle donne di essere inferiori rispetto agli uomini perché non lavorando, come fanno i loro padri, mariti e fratelli, non sono padrone del cibo portato in tavola.
Come convincerle che così non è?
Come ho già detto, l’istruzione è molto importante. Ma anche la semplice discussione. La regola del progresso è il dialogo. Soprattutto se non hanno mai avuto la possibilità di parlare ed essere ascoltate. È così che possiamo aprir loro gli occhi e convincerle a lottare per i propri diritti.
Come affrontare la paura?
Avere paura ogni giorno è morire ogni giorno. Si può morire anche per coraggio, ma sarà una volta sola. Questo è il mio credo.
La democrazia non è un bel fiore che gli stranieri
possono regalarci. È figlia di una lotta
instancabile, determinata, senza paura
Cosa può fare l’Occidente per sostenere le donne afghane?
C’è un’enorme differenza tra governi e cittadini. Se l’amministrazione degli Stati Uniti ha sostenuto i nemici del nostro popolo, ci aspettiamo che la gente comune di tutto l’Occidente si unisca al popolo afghano. Abbiamo bisogno del sostegno morale degli amanti della libertà e della giustizia di tutto il mondo. Abbiamo bisogno di iniziative pratiche di tipo educativo, per esempio, borse di studio per progetti di e-learning e apprendimento continuo. In questa lotta lunga e rischiosa la solidarietà internazionale è cruciale. Non dimenticate le persone oppresse dell’Afghanistan solo perché gli Stati Uniti e le truppe della Nato sono tornate a casa.
Malalai Joya nel centro per rifugiati in cui Avvenire l’ha incontrata, in Spagna, mostra foto di donne uccise negli ultimi anni – A.N.
Qual è il suo ruolo all’estero? In fondo lei è famosa, è stata insignita del premio Anna Politkovskaya, la stampa internazionale l’ha definita come “la donna più coraggiosa dell’Afghanistan” …
Il mio ruolo è aumentare la consapevolezza di quello che, davvero, è stato l’Afghanistan raccontando quello che ne hanno fatto le politiche guerrafondaie. La verità. La voce che alzo dalla mia tribuna è per chiedere a tutti gli afghani, fuori e dentro il Paese, di unirsi e lottare contro questi fondamentalisti. Molti mi chiamano, mi scrivono. Una rete sta pian piano prendendo forma. Forse è già questa democrazia.
Tornerà prima o poi In Afghanistan?
Fisicamente sono fuori dal mio Paese ma mentalmente ancora lì. Qui sono come in esilio. Ho dovuto lasciare l’Afghanistan per mantenere viva la mia voce che è quella sofferente di milioni di persone senza voce. Non appena la situazione me lo consentirà, tornerò. E sarò felice di riprendere la battaglia contro questi fondamentalisti accanto alla mia gente.
Da dove viene la sua forza?
La verità è sufficiente a darmi energia e speranza. Trovo ispirazione nelle storie degli eroi e delle eroine che hanno fatto la Storia del mio Paese. Nella vicinanza delle persone che si stringono attorno a me da tutto il mondo. Ma soprattutto nella solidarietà che ho ricevuto, e continuo a ricevere, dagli afghani oppressi. Tana gente mi ha aperto la porta delle proprie case quando ho avuto bisogno di nascondermi. Sento una grande responsabilità sulle mie spalle ma sono sicura che un giorno ce la faremo. Non importa quanto durerà la lotta.
Cosa vorrebbe dire alle afghane per la Giornata internazionale della donna?
Che l’8 marzo sia il giorno della lotta determinata. Restiamo unite, donne di Afghanistan, questo è il momento di essere coraggiose, di non cedere alla stanchezza. Perché, come diceva Rosa Luxemburg, “chi non si muove non si accorge delle proprie catene”.
Il grido dell’ex deputata Malalai: avere paura significa morire (avvenire.it)