di Antonio Bertoncini, La Repubblica (Parma), 03 marzo 2010

La giovane leader dei pacifisti afgani, a Parma per perorare la causa del suo popolo, ci fa scoprire una verità lontana da quella che pensiamo di conoscere.

La leader afgana Malalai Joya, paladina dei diritti femminili, parlamentare e scrittrice da sempre impegnata (a prezzo di grandi sacrifici) per le donne del suo paese, è stata ricevuta oggi a Parma in Comune e Provincia, dove ha incontrato il sindaco Vignali e il presidente Bernazzoli. Malalai ha chiesto l’appoggio di Parma: “La democrazia non arriva con le bombe. Noi le bombe non le vogliamo: vogliamo scuole, ospedali, strade” (foto di Marco Vasini)

Ufficialmente è in giro per l’Europa per presentare il suo libro, ma il titolo, “Finchè avrò voce” la dice lunga sul carattere di questa affascinante e coriacea ragazza di 33 anni, piccola e minuta, ma altrettanto decisa a portare fino in fondo la sua battaglia.

Malalai Joya, invitata dal Lions club Farnese, ha cominciato il suo pomeriggio parmigiano in Municipio, dove il sindaco Vignali ha assicurato che presenterà al ministro Frattini le sue ragioni, quindi si è recata in Provincia, dove ha ottenuto la solidarietà del presidente Bernazzoli e dell’assessore Marcella Saccani.

Il tour de force si è concluso all’Aula Magna dell’Università, con un incontro pubblico moderato da Maurizio Chierici. GUARDA LE FOTO

La dirigente politica afgana, in tutte le sedi, ha gridato la sua verità, ben lontana da quella che conosciamo dall’informazione filtrata dalle diplomazie: “Il popolo afgano – ha affermato – ha tre nemici: le truppe di occupazione, i signori della guerra (che comandano con tutti i regimi) e i talebani. Non esistono guerre giuste – ha tuonato – il prezzo lo paga sempre il popolo, come dimostrano gli 8.000 civili uccisi sotto i bombardamenti delle truppe di occupazione contro meno di 2.000 talebani. Il fosforo bianco e le bombe a grappolo non portano la democrazia”, ha detto, mostrando le foto dei bambini uccisi”. E ha continuato: “Hanno costruito qualche scuola, hanno portato qualche donna in Parlamento, ma è tutto fumo negli occhi, per continuare a comandare”.

Malalai ha fatto anche un appello ad Obama (contenuto anche nel suo libro autobiografico che non avrebbe mai voluto scrivere): gli ha chiesto di ritirare le truppe anziché mandarne di nuove (“almeno il Paese avrebbe un problema in meno, resteranno due nemici”) e ha ricordato che l’errore più grave è quello di trattare con i cosiddetti “talebani moderati”, che per definizione non sono tali.

Anche il Governo Italiano per la giovane leader afgana ha sbagliato tutto nella strategia di intervento nel suo Paese. “A sostegno dei democratici che vivono in clandestinità – ha aggiunto – serve la vostra voce contro la politica sbagliata della Nato. Ci serve una mano non armata per conquistare la nostra libertà”.

“Forse abbiamo capito poco dell’Afghanistan – ha affermato Maurizio Chierici di fronte all’accorata testimonianza di questa indomabile ragazza – là la vita sembra sia molto diversa da quella che noi immaginiamo e il Paese occupato militarmente è tuttora teatro di una sporca e cruenta guerra”.

Malalai ha raccontato la vita terribile delle donne anche sotto un regime che per lei è tutt’altro che democratico: violenze domestiche, stupri, attacchi con l’acido e persino frustate in piazza per chi rifiuta i matrimoni combinati sono ancora presenti e purtroppo frequenti.

Il suo libro è la storia di una ragazza nata sotto la guerra (c’era l’occupazione sovietica) e cresciuta in mezzo ad una violenza che non è mai cessata. Racconta della sua breve avventura in Parlamento (cacciata con ignominia dal regime solo perché ha osato proclamare la sua verità) e della sua vita tuttora da clandestina in patria, con il rischio di diventare uno dei tanti martiri che hanno segnato il difficile cammino della resistenza afgana. Il suo popolo “è stato tradito anche da coloro che lo volevano aiutare….E’ tutto un bluff, una menzogna, polvere negli occhi del mondo”.

“Per nascondere la mia identità – scrive ancora – sono costretta a viaggiare coperta dal burqa, che ai miei occhi è un odioso simbolo dell’oppressione femminile, una sorta di sudario per un essere vivente”.

E ancora: “Neppure la tomba potrà far tacere la mia voce, perché ci saranno altri che continueranno la mia lotta e la mia denuncia. Purtroppo in Afghanistan uccidere una donna è come uccidere un passero”. In un Paese cosparso di mine antiuomo, proiettili e bombe di diverso colore, e dove mancano ospedali e scuole e si vive con due dollari al giorno, può succedere anche questo.

Ma da Malalai Joya arriva un messaggio di ottimismo: “La libertà è come il sole, quando sorge nessuno può fermarlo e nasconderlo”. Ma non si può importare con la forza delle armi. “Io – scrive ancora – non posso uscire con un’amica, fare quattro passi per prendere un gelato… ma l’occupazione ingiusta e criminale da parte delle grandi potenze e l’attuale regime fantoccio non potranno durare per sempre” .

E conclude: “I nostri nemici possono recidere i fiori, ma non possono far nulla per fermare l’arrivo della primavera”.

Ce n’è abbastanza per leggere e per meditare a fondo sulle certezze poco scure della civiltà occidentale.