Paola Milli, Liberazione (Speciale), 14/03/2010
Lei ha provato a scolpire le vicende afgane intersecandole con la sua personale esistenza in un libro A woman against warlords ( Finché avrò voce , Piemme)
Sono trascorsi sette anni da quel giorno memorabile in cui Malalai Joya prese la parola nella Loya Jirga, l’assemblea dei capi tribù del paese, una struttura ancora più rappresentativa del parlamento, per denunciare i crimini e la corruzione dei governanti imposti al popolo dalle forze di occupazione e pertanto non legittimati da alcun consenso. Correva l’anno duemilatre, lei era lì come delegata della gente di Farah, la gente povera di quei villaggi, la sua provincia di provenienza; aveva venticinque anni e non si lasciò intimorire dalle minacce che seguirono al suo discorso, dagli ordini imposti perché venisse subito allontanata. Nessuno meglio di lei può raccontare l’Afghanistan di oggi, con la saggezza della sua passione politica e civile, con quella conoscenza della storia che le è stata trasmessa in primis dalle tradizioni democratiche di una famiglia da sempre in lotta. Lei ha provato a scolpire le vicende afgane intersecandole con la sua personale esistenza in un libro A woman against warlords (Finché avrò voce , Piemme) che sta attraversando l’Europa e il resto del mondo, presentato in affollate conferenze stampa dove a parlare è un linguaggio universale, ovunque compreso, di istanze libertarie e di giustizia sociale, che sono in fondo necessità imprescindibili per ogni popolo.
Perché hai deciso di consegnare alla scrittura la memoria di un vissuto individuale e collettivo?
Ho avuto molte resistenze, ero combattuta, non volevo personalizzare in alcun modo una realtà che appartiene a tutto il popolo, poi ha prevalso il desiderio di dire la verità, di togliere la maschera ai “signori della guerra” sempre più simili ai Taliban, per dare voce alla sofferenza del mio popolo. Un libro non può cambiare la storia, ma il silenzio non aiuta la nostra causa.
E’ auspicabile che l’apertura ai Taliban possa isolare e annullare la loro azione terrorista?
I Taliban, per i crimini commessi contro l’umanità, devono essere portati innanzi alla Corte Internazionale dell’Aia per i diritti umani, altrimenti a cosa serve questa Corte? Invece la storia va in un’altra direzione, visto che la Conferenza di Londra ha deciso di stanziare milioni di dollari per i Taliban, e Obama ha pensato bene di decorarne alcuni che hanno deposto le armi. Per giunta si sta configurando una guerra di propaganda attraverso le notizie che passano e quelle che non devono passare.
Qual è il tuo atteggiamento nei confronti di Rawa, l’associazione rivoluzionaria di donne in lotta per la democrazia e i diritti?
Io sono indipendente, ma non ho timore di confessare che condivido molti dei suoi ideali, se mai pensassi di ottenere risultati migliori lavorando all’interno di un’associazione, questa sarebbe Rawa, che ha strappato all’analfabetismo più di una generazione di afgani, nelle scuole gestite in Pakistan.
Intendi ricandidarti, fondare un partito?
Mi vengono mosse molte richieste in tal senso, da Kabul, da Farah, inoltre molti profughi afgani all’estero mi chiedono di fondare un partito, ma deve essere un partito non simbolico, bensì bene organizzato, anche finanziariamente. Nel duemiladue hanno fatto ritorno in Afghanistan quattro milioni e mezzo di profughi, il più grande reimpatrio dell’Alto Commissariato Onu. Ma se continua l’occupazione non c’è futuro per i profughi dell’Afghanistan, non c’è futuro per noi in Afghanistan.
Che ruolo hanno, nella durata dell’instabilità politica e governativa dell’Afghanistan, paesi come il Pakistan e l’Iran?
Se guardiamo agli ultimi quattordici anni, vediamo che paesi come Pakistan e Iran sono lieti di sapere che gli Stati Uniti sono concentrati nel nostro paese, trascurando il controllo di quel che loro fanno. In tal modo si è potenziata la capacità di agire di altri paesi. I servizi segreti pakistani hanno rapporti stretti con la Cia, tutti lo sanno. In realtà gli Stati Uniti dovrebbero fare pressioni per convincere i paesi confinanti a non collaborare con i Taliban. Se Obama fosse onesto dovrebbe riconoscere dopo otto anni che la sua missione di guerra in Afghanistan è fallita e dovrebbe cambiare rotta, riducendo il potere del ministro della difesa statunitense. Berlusconi sta seguendo la linea diplomatica statunitense, continuando a mandare truppe, spendendo i soldi dei contribuenti, appoggiando il regime di Karzai che intercetta gran parte dei fondi inviati dalla cooperazione internazionale. Hamid Karzai sedeva prima nel C.d.a. della Uneco, multinazionale del gasdotto che doveva portare il gas in Uzbekistan, e colui che era stato designato come avversario nelle ultime elezioni politiche, Abdullah Abdullah è membro di forze integraliste., responsabile di oltre settantacinquemila vittime, un taliban a tutti gli effetti.
Come potrebbe essere definita questa fase storica afgana, dal punto di vista dei diritti delle donne?
La condizione delle donne è terribile, il 12 febbraio due donne sono state pubblicamente frustate; i diritti delle donne erano paradossalmente più rispettati nel sedicesimo, diciassettesimo e diciottesimo secolo; questo è il periodo di maggiore terrore e oscurantismo che abbiamo mai vissuto.
Quale ruolo giocano i media internazionali nel conflitto afgano?
L’Afghanistan è una partita a scacchi dove ognuno fa la sua mossa: i media occidentali costruiscono eroi di carta, un eroe è tale perché è nel cuore della sua gente. Il generale Massud, il macellaio di Kabul, è stato fatto passare per eroe, con la regia della Cia e del governo francese, paragonato a personaggi mitici della memoria universale come Che Guevara, la storia non lo perdonerà mai per i suoi crimini, egli combattè i taliban perché pagato dalla Cia.
Su cosa davvero può contare il popolo afgano per uscire dall’oppressione?
Al punto in cui siamo, con la corruzione del governo e delle organizzazioni non governative, il traffico e lo sfruttamento della droga, mentre gli afgani si vedono negati l’assistenza sanitaria e l’istruzione, credo che dovremmo mantenerci uniti, cancellando le divisioni settarie, per lottare contro i nemici comuni. La nostra salvezza è nella resistenza che sapremo opporre a chi ci invade con le armi.